La sua aspirazione a sedere sulla panchina dell’Inter
L’Inter l’ha frequentata, la Sampdoria pure. Poi, quasi a fine carriera, il Padova. E, prima di sbarcare in nerazzurro, Salernitana, Savona e Sambenedettese. Ma la Juventus ,di cui suo papà era supertifoso, gli manca. Ma si suppone che, sia per il diretto interessato, Walter Zenga, sia per il suo genitore di fede zebrata la cosa non sia mai stata un problema. Anche perchè poi il figliuolo del signor Alfonso Zenga si è comunque ritagliato le sue grandissime soddisfazioni in campo nazionale e internazionale. Portiere di spessore sul campo, poi allenatore dal curriculum quanto la distanza tra la Svizzera e il Borneo: Ne Revolution, Brera (società di Milano), tanta Romania con National e Steaua Bucarest, il mondo slavo con la Stella Rossa, quello turco con il Gaziantespor e poi, tra le altre, Dinamo Bucarest, Catania, Palermo, Al Nassr (sì, proprio quella che ha messo a libro paga Cristiano Ronaldo), Sampdoria, Wolverhampton, Crotone, Venezia, Cagliari. Per fare capire qual è, dalla vignetta complessiva, il particolare che manca, si può fare riferimento a un gioco enigmistico.
Molte esperienze ma il nerazzurro sempre nel cuore
La società con cui Zenga spera di ampliare il puzzle ha cinque lettere, è di Milano, veste nerazzurro e lo ha già avuto alle sue dipendenze. Soluzione? Basta ascoltare proprio Zenga: “l’Inter era il mio sogno di bambino che si avverava, tifavo Inter da sempre, andavo in curva, avevo fatto il raccattapalle a San Siro e finalmente, dopo anni di provincia, tornavo a casa”. Appunto, a casa. Perchè lui, “el Walter” come lo chiamavano i tifosi fedeli al dialetto milanese, è nato nel 1960 nel capoluogo lombardo e cresciuto a pane e calcio in viale Ungheria, periferia della città. E quindi ecco spiegato perchè quell’Inter che ha cominciato ad assaggiare da tifoso e da cui è poi passato per la porta principale onorando la maglia per ben 328 volte tra il 1982 e il 1994 è per lui una ragione di vita. E, se entrare nella rosa dell’Inter da tuttoparente è un sogno che si è realizzato, adesso gli manca l’altra metà della mela. Che sarebbe sedersi sulla sua panchina. “Allenare l’Inter un sogno? Lo è sempre stato”. E sembra di sentire l’eco del suo compianto collega Carletto Mazzone dire “ma che te lo racconto a fà”. Anche perchè “el Walter” si autodefinisce “una legend”. Non proprio un inno alla modestia, ma negarglielo sarebbe negare l’evidenza.
E poi ci sono quei tifosi, quelli che non l’hanno dimenticato e che, afferma, “mi fermano ancora oggi per strada come se avessi smesso di giocare l’anno scorso”. Un affetto che compensa abbondantemente “quando qualcuno di un’altra squadra mi dice cose poco carine”. Lui ha imparato che il calcio è anche filosofia e quindi liquida il tutto con un “non mi offendo”. Nella sua memoria c’è una data che ricorderà quanto il giorno del suo genetliaco: 11 maggio 1994. Fu quella l’ultima partita in cui indossò i guanti per presidiare la porta della società del Biscione. Ma il destino calcistico ti concede sempre un’altra vita: e quella vita, “el Walter”, se l’è ritagliata in abbondanza panchina su panchina. Ma quella nerazzurra è un pezzo che manca alla sua collezione. E che spera un giorno di assicurarsi come un collezionista vorrebbe stringersi tra le braccia un dipinto originale di Vincent Van Gogh.