Intervistato nel corso di un evento a Trento, Antonio Conte ha parlato del suo passato, ma anche del suo futuro che potrebbe essere di nuovo in Italia. Queste le sue parole riprese da Fcinternews.it: “Essere allenatore oggi significa seguire un calcio in continua evoluzione. Quello vissuto da calciatore mi ha permesso di incrociare due allenatore che ricordo con piacere e sono Mazzone e Fascetti. Al di là del ruolo loro erano due padri. Alla Juventus ho conosciuto Giovanni Trapattoni che non finirò mai di ringraziare. Ha avuto un atteggiamento paternale con me, ragazzino di 21 anni alla prima esperienza lontano da Lecce. Il primo a cambiare la figura dell’allenatore fu Sacchi, che ho avuto in Nazionale, e Lippi alla Juventus. Davano indicazioni in più, hanno iniziato ad usare le tecnologie applicate al calcio come le analisi video degli avversari. Ai tempi nostri l’allenatore incide tanto e sotto tutti i punti di vista. Ripeto: l’allenatore incide. Chi magari al 5%, chi al 20%, chi di più”.
C’è anche chi fa danni?
“Odio questa parola, questo concetto. A volte sento dire anche fra colleghi che bisogna fare meno danni possibili. Non condivido assolutamente, a questo punto penso che non si debba nemmeno intraprendere questa strada”.
Che caratteristiche deve avere un allenatore?
“Un grande allenatore deve conoscere e applicare diversi moduli. Ognuno chiaramente ha le sue idee, ma dopo ti devi comunque adattare alle caratteristiche dei calciatori. La nostra funzione è mettere nelle migliori condizioni il giocatore per esprimere il talento. Io ho vinto il campionato a Bari con il 4-2-4, decisamente innovativo ai tempi. Quando andai alla Juventus volevo giocare proprio così, ma poi decisi di cambiare. Avevo Pirlo che inizialmente giocava a due con Marchisio e Chiellini che non voleva fare il terzino sinistro. C’era anche Vidal che non pensavo potesse avere tutte quelle potenzialità che poi ha dimostrato. Per tutti questi motivi decisi di difendere a 3 e giocare a 5 in mezzo. Questo per fare capire come bisogna essere bravi ad andare dietro una propria idea ma capire le caratteristiche dei giocatori. La stessa roba è capitata al Chelsea. Iniziai 4-2-4, poi dopo un primo tempo con l’Arsenal in cui perdevamo 3-0 decisi di cambiare a 3-4-2-1. Con questo modulo poi vincemmo il campionato. Le idee nuove possono esserci e noi allenatori le dobbiamo sentire e farle nostre. E quando le spieghiamo dobbiamo farle arrivare nella testa dei giocatori. È fondamentale saper trasmettere le idee”.
Un allenatore deve essere integralista?
“Se io vado in una squadra dove ci sono esterni bravi nell’uno contro uno punto su di loro, se c’è un solo attaccante forte provo a metterlo nelle migliori condizioni. La flessibilità prima di tutto. Diventa fondamentale anche saper leggere la partita perché in 90 minuti ha diverse fasi. Glielo dico sempre ai miei calciatori, e se non lo capiscono glielo dico io. Dal 70’in poi subentra la lettura dell’allenatore: capire se puoi vincere, se rischi di perdere. L’essere stato giocatore aiuta nell’aspetto gestionale e so cosa dire al calciatore e come arrivare nella sua testa, sia per un qualcosa di positivo che di negativo”.
Cosa vorrebbe per la sua prossima avventura quando tornerà ad allenare?
“Ho vinto in contesti non facili. Come la Juventus al primo anno, oppure con il Chelsea che la stagione precedente arrivò decimo. Mi piacerebbe prendere un giorno una squadra che ha già vinto (ride, ndr)”.