Inter, Thuram: “Volevo venire qui. Con la Roma? Mi sono proprio goduto l’esultanza”

Thuram felice di aver scelto l'Inter

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MARCUS THURAM IN AZIONE ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

A DAZN Heroes questa volta il protagonista è Marcus Thuram. Il centravanti dell’Inter ha parlato della sua esperienza che sta vivendo in nerazzurro, raccontando anche qualche aneddoto interessante.

Inter, le parole di Marcus Thuram

“Quando sono arrivato non ho pensato all’impatto che potevo avere, ho pensato solo ad inserirmi nella squadra, conoscere i compagni. Arrivavo in una squadra finalista di Champions e che aveva vinto due coppe: volevo solo inserirmi con i compagni, nei movimenti con Lautaro e i compagni. Tatticamente sono davvero migliorato da quando sono qui”.

Il gol nel derby?

“Ho visto che Thiaw non mi ha attaccato, mi sono girato e l’ho puntato: mi piace sapere contro chi gioco, se il difensore è veloce o aggressivo. I difensori del Milan non erano tornati, ero uno contro uno: sono rientrato e ho tirato. Quando chiudo gli occhi e penso alla partita penso a quando siamo entrati e alle due coreografie: è stato un momento speciale. Quella settimana fu normale, io non penso molto alle partite in settimane, ma all’allenamento: avevo fatto alcune domande a Mkhitaryan, ma non voleva dirmi troppo perché avrei visto io stesso”.

San Siro?

“Quando ho segnato con la Fiorentina la prima cosa che è arrivata è stato il boato. Senti un rumore incredibile quando giochi a San Siro: volevo entrare in comunione con i tifosi”.

La partita più bella finora?

“Con la Roma, è stata una partita particolare. Mi sono proprio goduto l’esultanza”.

L’esultanza di Dimarco?

“L’avevo vista quando giocavo al Gladbach, era bella: quando mi ha fatto assist ho voluto farla con lui. Il mitra con Lautaro? Non gli è piaciuta (ride, ndr). Mi ha detto qualcosa dopo ma niente di particolare. Quella col Benfica? In quella settimana ho parlato col figlio di Henry e gli ho promesso quell’esultanza”.

La finale del Mondiale?

“E’ stata una partita spettacolare da fuori, da dentro non l’ho vissuta così: è la vita, l’importante è imparare. Ci penso spesso, ma non posso cambiare niente: abbiamo perso e vogliamo tornare là”.

Ti ispiri a Benzema?

“Al 100%, è il 9 che mi piace di più. Lui va dappertutto, può dare soluzioni ovunque e io voglio essere quel 9. Mi ha dato tanti consigli, il più importante è rispettare il gioco: se devo passare passo, se devo tirare tiro. Devi sempre dare la risposta giusta”.

Stai aiutando anche Lautaro?

“Non so, non ha bisogno di qualcuno per fare gol. Quando sono arrivato il primo che mi ha scritto è stato Dimarco, mi ha dato il benvenuto e mi ha detto che mi aspettava da due anni”.

Perché l’Inter? 

“Era un feeling che avevo dentro. Due anni prima mi ero fatto male e questo mi ha fatto malissimo perché mi ero già immaginato con la maglia nerazzurra e a San Siro: due anni dopo mi era rimasta questa cosa, volevo venire qui. Ormai sono passati due anni: erano gli ultimi giorni di mercato, tutta la settimana avevo parlato con l’Inter, pensavo di andarci dopo quella partita. Non pensai fosse grave subito, continuai a giocare 5 minuti; poi mi fermai perché mi faceva veramente male. L’Inter mi è stata sempre vicina, sono persone molto rispettose: per me è stata una scelta ovvio anche dopo due anni. L’anno scorso è stato il primo anno in cui ho fatto il 9, Ausilio mi ha visto 9 due anni prima: mi conosce molto bene e mi ha aiutato a scegliere. Il mio percorso mi ha aiutato ad essere il 9 di oggi: non rimango fermo, gioco coi compagni e faccio tante cose”.

Il rapporto con tuo padre?

“Nel ’98 quando vinse il Mondiale non avevo ancora un anno: fu una cosa incredibile per lui. Io non capivo ancora, scoprii a 10 anni quando era mio padre: per me era una cosa banale, io vedevo mio papà e non sapevo cosa avesse fatto in campo. Non voleva diventassi calciatore: quando vide che mi piaceva molto mi iscrisse a scuola calcio. A me non piaceva difendere ma avere la palla nei piedi e fare gol: i difensori non rendono la gente contenta, impediscono i gol. Papà e mamma mi hanno sempre insegnato che il rispetto è la chiave di tutto e che tutto passa dal lavoro. Se non lavori non avrai successo. Mio padre mi aiuta sempre dopo le partite: le guardo con lui, mi fa imparare velocemente. E’ molto severo, ma è meglio così: ogni volta che faccio gol e mi vede col sorriso mi dice “calmati, vieni in macchina che ti spiego due o tre cose…”. Mi calma sempre”.

Henry?

“Con lui mi confronto ogni giorno, di più di papà: ogni giorno sto al telefono con lui, può darmi dei feeling che papà non può darmi”.

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