Inter, Walter Samuel ricorda il Triplete e il periodo nerazzurro

The Wall ricorda i periodi trascorsi in nerazzurro

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Il suo ricordo del periodo in nerazzurro

Con l’Inter ha vissuto due esistenze. La prima sul rettangolo verde dove ha lasciato un’impronta da gigante di 169 presenze e 14 reti. La seconda come collaboratore tecnico. Walter Samuel, quando parla della sua esperienza in nerazzurro, ha gli occhi luccicanti. E, intervistato da Rsi, apre volentieri il suo diario dei ricordi, tra Real Madrid e quell’Inter dove è stato tra i protagonisti di quel triplete autografato dalla conduzione tecnica di Josè Mourinho che resta scolpito nella storia nerazzurra e del calcio italiano.

Dall’orgoglio per la vittoria della sua nazionale al triplete passando per il Real Madrid

Nell’aprire la sua disamina, Samuel non dimentica di essere prima di tutto argentino. Cioè appartenente a quel paese che si è appena messo in tasca il campionato del mondo in Qatar con la direzione d’orchestra di quel Lionel Scaloni con cui collabora. La vittoria è quindi a tutti gli effetti anche sua. “Forse – esordisce- come mi hanno detto alcuni amici, non ci siamo ancora resi conto di quanto abbiamo fatto, i protagonisti sono i giocatori, ma è un motivo d’orgoglio anche per noi che siamo dello staff tecnico”. Più o meno il discorso funziona così: vedi giorno per giorno una rosa di ragazzi volenterosi e desiderosi di salire sul tetto del mondo (e in loro ti ci rivedi) e cominci a sentirli come estensione di te stesso, delle emozioni che hai vissuto. Poi, ovviamente, per chi è al di qua e al di là di Buenos Aires nel paese delle pampas e dell’asado, l’orgoglio per la vittoria ha un sapore tutto particolare: “chi non è argentino fa fatica a capire- prosegue- è vero , le problematiche del paese non sono ancora state risolte ma questo successo ha dato gioia a gente che ne aveva bisogno”. Insomma, impresa calcistica ma di alto valore sociale. Una vittoria non solo di chi è sceso in campo, ma di tutto un popolo. Poi il nastro si riavvolge e passa alla sua esperienza in nerazzurro. Apertura di discorso su Mourinho che “ha  cambiato tanto , a partire dal modo di lavorare con la palla, aveva fiducia in se stesso e ci trasmetteva la sua voglia di vincere”. Del resto il soprannome di “special one” che gli è stato affibbiato non è figlio del caso. Nella bacheca del suo cuore e dei suoi ricordi scintilla in modo particolare il triplete che, dice, “è stato come il Mondiale” con la squadra “che ci ha creduto anche perchè, per tanti di noi in età avanzata, era un’opportunità unica”. Parole d’affetto gli escono dalle labbra anche per il suo ex presidente Massimo Moratti che, dice, “trasmette tranquillità , ci era molto vicino senza esserci”. Corollario dell’asserzione è che, a suo avviso, “l’Inter è una grande famiglia”.

Il nastro si riavvolge di nuovo e questa volta parte dall’esperienza al Real Madrid: “a livello di campo ho sofferto un sacco – afferma- perché prendevamo tanti gol, a livello di club è impressionante, sembrava di andare a teatro, mi sono trovato con stelle impressionanti come Figo, Ronaldo e Zidane, persone molto semplici e umili”. Come ha scelto di esserlo lui approcciandosi a ogni esperienza e partita. E ora che affianca Scaloni nell’albiceleste, la cosa gli crea anche un vantaggio sul piano familiare perchè, dice, “la nazionale mi permette di stare di più con i miei figli”. Da campione a campione, poi, spende parole di entusiasmo per quel Lionel Messi che ha preso per mano l’Argentina conducendola davanti a tutta la concorrenza nel sole del Qatar. “Se lo meritava più di chiunque altro per il giocatore che è – è l’apertura dell’omaggio – lo dicono anche i suoi compagni. E’ un ragazzo tranquillo , un professionista esemplare e uno molto competitivo. Ha preso il ruolo di leader, in campo e fuori”. Dopo Diego Armando Maradona, insomma, calcisticamente parlando, l’Argentina ha trovato un nuovo monumento nazionale. Per ora è allenatore in seconda, ma a quando una panchina tutta per lui? “Non lo so -conclude- arriverà il momento , mi piacerebbe allenare, non lo nascondo in Svizzera”. Ovvero in quel Basilea che è stata l’ultima squadra di cui ha difeso i colori prima di appendere le scarpe al chiodo. Senza trascurare di frequentare i tanti amici che ha, fuori e dentro il mondo della sfera di cuoio.

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